Uganda 2024

2 aprile - 24 aprile 2024 | 16ᵃ Missione

Introduzione

E’ la 2° missione dopo le epidemie, prima di Covid e poi di Ebola in Uganda, che avevano portato a sospendere attività proseguite ininterrottamente dal 2006 al 2019. Negli anni di stop (2020-22) un buon numero di bambini che non avrebbe avuto possibilità di cure, era stato operato dai chirurghi ugandesi abituali collaboratori di SFC, replicando autonomamente il modello dei “surgical camps”.
Nel 2023 il ritorno di SFC era stata accolto con gioia e gratitudine ed il Direttore dell’Ospedale, a fronte di un aumento costante di pazienti con Malformazioni Congenite, aveva chiesto per le missioni successive, di aumentare il numero degli interventi e di contribuire ad introdurre la video-laparoscopia nella routine quotidiana dell’ospedale (la richiesta era più pressante per la ginecologia); le sale operatorie nel frattempo, erano state riorganizzate con bombole di CO2, apparecchi di anestesia adatti ai bambini, lampade scialitiche e letti operatori nuovi.

Team

 Il team 2024 è stato più numeroso del solito, con il coinvolgimento anche di ginecologi e di un maggior numero di medici ugandesi: 30 volontari italiani: 6 chirurghi pediatri S. d’Agostino (Vicenza), B.Cigliano e A.Savanelli (Napoli), prof. G.Cobellis, E.Bindi (Osp. Salesi,Ancona), L.Asero (Catania), 2 Ginecologi G.D’Agostino(Osp. Cetraro, Cosenza), F.d’Agostino(specializzanda3°aa Un. TorVergata, Roma), 5 Anestesisti: D.Faticato, V.Santella (Osp. Santobono ,Napoli), L.Muzio (Osp. Lavagna, Genova), S. Antonelli (Osp. Pasquinucci, M.Carrara) C.Gelormini (Pol. Gemelli,Roma), 16 Infermieri: A.Scuccato, C.Sellaro, M.Bernadele, P.Sausa e M.Gaspari (Vicenza), M.Fusco (Osp. Alatri, Frosinone), E.De Pascali (Osp. Santa Chiara, Trento), AM. D’Oro (Napoli), Y.Khayamian, M.De Chiara (Osp. Santobono, Napoli), P.Foglia, P.Cendron (Osp. Treviso), D.DeBiagi, F.Mari e F.Papucci (Osp. Lavagna,Genova), F.Carbone (Osp. Padova), S.Di Martino (Osp. Pasquinucci, M-Carrara), 1 Responsabile della Comunicazione: G.d’Agostino (Vicenza),
5 medici del St. Mary’s Hospital: 2 Anestesisti, 1 chirurgo generale: Mr. D.Nyeko, e 2 medici in formazione: Emmanuel Makai medical officer, Donald Ogwal intern, 3 chirurghi pediatri ugandesi: Phyllis Khisa e Peter Kayima (Mulago Hosp. Di Kampala) e Charles Odongo (Un. Hosp. di Lyra), che continuando a collaborare da vari anni con SFC, non solo considerano i “surgical camps” una opportunità di confronto ed aggiornamento, ma condividono anche la filosofia di “offrire gratuitamente le risorse del sapere a malati senza opportunità di cure”. E’ in questa ottica che vanno inserite le attività svolte durante la pandemia. Da sottolineare che in Uganda ci sono solo 6 chirurghi pediatri in attività, a fronte di una “popolazione pediatrica” di oltre 20 milioni.

Lo svolgimento della missione

 Insieme ai volontari sono arrivate dall’Italia più di quaranta valigie piene di strumenti e presidi sanitari per la chirurgia e l’anestesia pediatrica sufficienti per un centinaio di interventi; non ci sono farmaci dei quali già da qualche anno, il Ministero della Salute Ugandese vieta l’introduzione nel paese. 12 valigie però, restono bloccate in aeroporto a causa di un disguido burocratico. Le autorità doganali, irremovibili, le riconsegneranno solo a distanza di giorni dopo i controlli, ma la perdita di tempo allunga notevolmente i tempi di viaggio, ed il ritardo nella consegna dei materiali in ospedale, ritarderà anche l’inizio delle attività chirurgiche.
L’arrivo in guest house avviene in tarda serata con i volontari molto stanchi, ma l’accoglienza è affettuosa e festante, e le preoccupazioni per la sistemazione logistica di un team per la prima volta così numeroso, svaniscono rapidamente di fronte alla efficiente organizzazione ed alla disponibilità di Evelyn e Sister Rose.
In ospedale, in attesa da qualche giorno, c’erano già una ottantina di bambini; erano stati allertati nei mesi precedenti da annunci via radio che negli anni hanno superato la regione Acholi per raggiungere tutto il paese, ed arrivare anche oltre confine.
Ogni bambino si portava dietro la propria storia di sofferenze e di speranza…, e tutti premevano per essere valutati il prima possibile, così da essere curati durante la permanenza di SFC.
Molti erano stati inviati da ospedali vicini, ma anche da Kampala ed Entebbe, dall’ospedale di Emergency a 360 Km di distanza e 12 ore di bus. Alcuni erano al loro secondo/terzo viaggio della speranza o perchè rinviati, o per controlli post-operatori, o per un 2° step chirurgico.
Sorprendente le famiglie erano riuscite ad affrontare di nuovo i costi del trasporto, ostacolo spesso insormontabile per i miseri bilanci familiari.
Tra i piccoli in attesa c’era anche Alessandro, lattante di 20 mesi proveniente dal Kenia. I genitori, padre keniota e madre italiana, avevano contattato direttamente SFC dopo aver saputo dei “surgical camps” in Uganda. L’ospedale, come altre volte in passato, non aveva sollevato problemi ed il piccolo era stato inserito in lista. L’intervento, sarebbe stato gratuito, così come in altri casi simili, in linea con la filosofia dell’ospedale che di fronte alla grande povertà del contesto, ha sempre offerto -“cure gratuite” a partorienti e bambini < 5 anni”, e -“le miglior cure possibili al minor costo possibile” a tutti gli altri senza distinzioni.
SFC ha condiviso questa filosofia, decidendo sin dall’inizio di supportare il LH con l’acquisto nella farmacia dell’ospedale dei farmaci e degli anestetici per i “surgical camps”, e con una donazione calcolata forfettariamente di volta in volta, in base al numero degli interventi effettuati.
Anche Prasline, ragazza di 19 anni nata con una “anomalia dello sviluppo sessuale”, attendeva SFC dopo averla contattata direttamente in Italia. Nel 2014, a 9 anni, era stata sottoposta ad un primo step chirurgico, ma non era più tornata a controllo sebbene abitasse a pochi Km dall’ospedale.

Le operazioni

Alla fine i pazienti visitati sono 150, troppi… per la preoccupazione di non riuscire a dare risposte a tutti a causa del ritardo nell’inizio dell’attività chirurgica a causa dell’intoppo in aeroporto.
86 i pazienti operati: 18 Malformazioni Anorettali, 8 Megacolon Agangliari, 8 Atresie Intestinali, 38 Ipospadie, 4 Anomalie dello Sviluppo Sessuale, 2 Valvole dell’Uretra Posteriore, 1 Incontinenza Urinaria, 2 Laparoscopie ginecologiche, 5 Piccola chirurgia. Sono stati esclusi i pazienti con anomalie operabili dai locali, e rinviati quelli troppo piccoli o con malattie che controindicavano l’intervento (malnutrizione, malaria, cardiopatie e malattie respiratorie acute).
In video-laparoscopia sono stati effettuati 14 interventi : 10 laparoscopie operative (6 maschi con ano imperforato, 2 orchidopessi per testicoli addominali e 2 in donne adulte per patologie annessiali che hanno ricevuto una salpingoplastica) e 4 diagnostiche (Anomalie dello Sviluppo Sessuale-DSD).
8 pazienti hanno avuto un reintervento per complicazioni post-operatorie, ed 1 neonato è deceduto nel post-operatorio; era stato già operato in altro ospedale per atresia intestinale e trasferito successivamente al LH.
In generale comunque la percentuale di complicazioni è stata molto bassa.
Complessivamente sono state effettuate 112 procedure anestesiologiche, lavorando su 3 sale operatorie per 10-11 ore/al giorno anche nei week-end. Medici ed infermieri locali sono stati sempre disponibili nonostante ritmi incalzanti non usuali per loro, ed i tecnici di anestesia hanno mostrato molto interesse per procedure anestesiologiche diverse da quelle abituali.
E’ da sottolineare il prezioso contributo dei 3 chirurghi pediatri ugandesi (aggregati al team come volontari esterni all’ospedale) che si sono alternati nell’arco delle 3 settimane: Prof.ssa Khisa, Mr Kayima e Mr. Charles Odongo. Essi ben conoscevano la realtà dei “surgical camps” avendo già lavorato presso il LH agli inizi della professione, ed avendo ripetutamente collaborato con SFC in passato. Esperti ed affidabili in sala operatoria, essi hanno avuto un ruolo significativo anche nella comunicazione con le famiglie e nel follow-up post-operatorio.
Ai malati del “surgical camp” sono stati riservati una cinquantina di letti in Reparto e Terapia Intensiva, condivisi da più bambini, con le mamme sdraiate a terra ai piedi del letto. Essi erano seguiti da 6 infermiere italiane supportate dai due medici tirocinanti e da un chirurgo esperto italiano. I medici però, venivano frequentemente richiamati in sala operatoria essendoci tre sale in attività ed almeno 9-10 pazienti da operare ogni giorno. L’impegno delle infermiere così, è stato molto faticoso ed in frenetico aumento di giorno in giorno, con la collaborazione non ottimale da parte delle infermiere locali, a causa del numero limitato, della rotazione nei turni, e del gap formativo nell’assistenza a malati complessi. Sorrisi ed umanità però, non sono mai mancati.
Dopo le prime 2 settimane, 8 volontari che non avevano ferie sufficienti, sono rientrati in Italia, sostituiti da 1 anestesista e 4 infermiere che hanno fatto il percorso inverso, in modo da mantenere costante il ritmo delle attività anche nella terza settimana.
Dopo la partenza del team il follow-up degli interventi è stato svolto effettuato da Mr. Odongo, rimasto al LH una settimana in più, e tornato poi a rivedere i pazienti nei mesi successivi.
Durante la missione c’è stata l’occasione di incontrare il dott. Asante Mauro Massoni, da 3 mesi nuovo Ambasciatore d’Italia in Uganda, venuto al LH per rafforzare l’impegno a promuovere collaborazioni tra Italia e Uganda in ambito sanitario e di formazione; con lui la delegazione della Fondazione Piero e Lucille Corti, guidata dal Presidente Dominique Corti e quella dell’Un. Milano Bicocca, guidata dal Preside del Dipartimento di Medicina e Chirurgia prof. Pietro Invernizzi.
Grazie ad un accordo con la facoltà milanese, il LH è da un paio d’anni sede di tirocinio per gli studenti del 5° e 6° anno di medicina nell’ambito del progetto “Bicocca Global Health Center”, ed in arrivo ci sono anche specializzandi in pediatria, ostetricia, chirurgia e pronto soccorso, per un periodo di formazione di sei mesi, con l’obiettivo di offrire ai futuri medici italiani -la possibilità di confronto con la medicina e la cultura di un contesto a risorse limitate, profondamente diverso, e
-l’opportunità di arricchirsi tanto dal punto di vista professionale quanto da quello umano.

Considerazioni finali

Particolarità delle 16° missione

1. Per la prima volta è stato messo insieme un team così numeroso, di 30 sanitari italiani (di cui
5 chirurghi pediatri, 2 ginecologi, e 5 anestesisti), e 3 chirurghi pediatri ugandesi.

2. Per la prima volta sono stati effettuati in Uganda presso il LH, interventi di ricostruzione di ano imperforato per via laparoscopica, peraltro in 6 maschi tra i 13-20 mesi e circa 10 Kg di peso. L’ospedale aveva adeguatamente riorganizzato le sale operatorie e gli interventi, molto impegnativi dal punto di vista chirurgico ed anestesiologico, sono stati seguiti con molta attenzione dai medici locali e dai chirurghi pediatri ugandesi aggregati al team.
La 1° laparoscopia operativa pediatrica però, una orchidopessia, era già stata effettuata nel 2023, mentre nel 2016 erano state avviate laparoscopie diagnostiche “gasless”, per la definizione dei genitali interni in pazienti con sospetto DSD.
Erano stati previsti anche interventi ginecologici in laparoscopia, ma è venuto a mancare il coinvolgimento dei ginecologi locali che, sovraccaricati dalle attività ostetriche, non erano riusciti nè a preparare le pazienti adatte, nè ad organizzare un gruppo di infermiere/ostetriche da formare in sala operatoria. Così sono state effettuate soltanto due laparoscopie ginecologiche in urgenza per patologie annessiali. Sono state messe però, le basi per future collaborazioni.

3. Importanti riflessioni da parte dei medici del LH e dei volontari di SFC sono scaturite dall’incontro con Prasline, la ragazza di 19 anni nata con una sindrome da insensibilità agli androgeni conosciuta anche come sindrome di Morris o femminilizzazione testicolare, mai diagnosticata prima dell’incontro con SFC. La sindrome comporta che persone con corredo cromosomico XY e quindi genotipo maschile, sviluppano invece caratteri sessuali femminili.
La diagnosi era stata fatta a 9 anni allorchè alla bambina erano stati evidenziati due testicoli ectopici all’inguine, una vagina ipoplasica ed una agenesia dell’utero. All’epoca, date le opportune spiegazioni ai genitori, era stata effettuata la rimozione di entrambi i testicoli, prevedendo controlli negli anni successivi ed ulteriori trattamenti alla pubertà.
Ma Prasline non si era più fatta vedere e con l’adolescenza era andata in confusione con grandi sofferenze: aveva esteriorità e sessualità femminili ma non riusciva ad avere rapporti sessuali, non aveva il seno nè le mestruazioni, e non sapeva se avrebbe mai potuto avere figli.
I genitori non erano stati in grado di darle spiegazioni, nè si potevano avere informazioni dalla cartella clinica che era andata persa (al LH la cartella viene affidata alla famiglia; solo nel caso dei “surgical camps” i dati dei pazienti sono raccolti da SFC).
Prasline era arrabbiata con i suoi genitori, aveva troncato i rapporti con loro ed aveva cominciato a lavorare in una pasticceria. A 19 anni viveva male il suo quotidiano, in solitudine con i suoi dubbi e le sue “menomazioni”, e non sapendo a chi rivolgersi aveva pensato di contattare direttamente SFC chiedendo la mail ai chirurghi ugandesi conosciuti anni prima nel “surgical camp”.
Aveva avuto appuntamento per il controllo nella missione 2024 alla quale avrebbero partecipato anche dei ginecologi. Il team visionato l’archivio ed effettuati gli accertamenti necessari, ha dato a Prasline tutte le spiegazioni di cui aveva bisogno. Sul suo volto è tornato il sorriso; ha iniziato la terapia ormonale sostitutiva e l’intervento vitale per il suo futuro di donna, la ricostruzione della vagina, è stato concordato per il 2025.
I DSD includono un ampio spettro di malformazioni/anomalie, nelle quali i genitali esterni non sono chiaramente inquadrabili nel sesso maschile o femminile. Queste anomalie sono risultate piuttosto frequenti nella esperienza di SFC in Uganda, a differenza di quanto avviene nel mondo occidentale dove sono considerate malattie rare. Nell’arco di 16 missioni in 19 anni, infatti, sono stati visti ben 72 pazienti (di cui 5 sindromi di Morris). I pazienti sono emersi gradualmente, con l’aumento degli interventi per ipospadia severa che in Uganda prima dell’arrivo di SFC non venivano effettuati; a causa di barriere culturali e di carenze di professionalità e risorse, questi malati sono tenuti nascosti e cresciuti secondo la volontà della famiglia o del capovillaggio.
Ad alcuni di questi pazienti il team di SFC ha fatto solo solo la diagnosi, ad altri ha portato a termine anche interventi chirurgici “ricostruttivi”, e quando si è sparsa la voce della possibilità di ricostruzione, sono emersi improvvisamente pazienti di ogni età. I sanitari del LH, costantemente coinvolti nella loro gestione, hanno così preso coscienza della elevata frequenza di queste malattie che non venivano affrontate nè dai chirurghi locali nè da altri team stranieri in Uganda, e delle complesse problematiche individuali e sociali ad esse collegate.
Un pò alla volta così, è stato individuato per queste malattie “trascurate”, un percorso diversificato a seconda dell’età se pre-puberi e post-puberi, che tiene conto delle enormi difficoltà legate al contesto locale, in primis lo studio dei profili genetici ed endocrinologici.
Nei primi ci si è orientati al solo approccio diagnostico per definire l’anatomia dei genitali interni, ed offrire ai genitori soluzioni (da attuare dopo la pubertà in relazione alla identità sessuale percepita), aiutandoli ad affrontare le problematiche dell’accettazione sociale dei figli con sesso “indefinito”. Nei casi di diagnosi tardiva invece, è la percezione della identità sessuale dei pazienti ad orientare il tipo di ricostruzione più opportuno.
Il particolare percorso di Prasline ha reso i medici dell’ospedale ancora più consapevoli del peso sanitario e sociale dei DSD e quindi è stato concordato di: 1. organizzare per i pazienti un registro in cui riportare presso il LH informazioni mediche, accertamenti, e possibilità terapeutiche attuate od in programma, 2. redigere un certificato medico da consegnare direttamente ai pazienti,
3. proporre a livello governativo in un’ottica più ampia, la realizzazione presso il LH, di un centro di riferimento nazionale per i DSD supportato da SFC.

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