Periodo
1999, 2000
Luogo
Burundi, Africa Centrale
Collaborazioni
Ass. Coop. Missionaria, Verona
WOPSEC, Parma
Panoramica del Paese
Il Burundi, piccolo paese dell’Africa centrale ha una popolazione di 10 milioni di abitanti suddivisi in 2 gruppi etnici (minoranza tutsi e maggioranza hutu); è stato sotto la dominazione belga fino al 1962, con un’amministrazione coloniale indiretta che rispettava la struttura etnica e sociale locale. Al momento dell’indipendenza però, i belgi affidarono l’assetto politico ed amministrativo alla minoranza tutsi, ponendo così le basi per conflitti etnici che hanno martoriato il Burundi per oltre mezzo secolo e che tutt’ora non sono risolti.
Nelle prime elezioni legislative del 1965 furono gli hutu ad avere la maggioranza e le successive tensioni etniche portarono dapprima a ripetuti colpi di stato e poi al genocidio degli hutu da parte dei tutsi (1972). In tre mesi 200.000 hutu furono massacrati e 150.000 costretti a scappare dal paese.
I decenni successivi sono stati caratterizzati da un clima di violenze incontrollate da parte dei militari governativi (l’esercito era in mano ai tutsi) e dalle bande armate di ribelli e nel 1993, a seguito dell’ennesimo colpo di stato, un secondo genocidio durante il quale dapprima gruppi di hutu fecero strage a colpi di armi da fuoco, machete e bastoni chiodati, di tutsi e di hutu moderati, poi l’intervento dell’esercito governativo provocò la morte di almeno 500.000 persone e l’esodo di 700.000 profughi.
Nel 1994 addirittura, fu abbattuto l’aereo su cui viaggiavano il presidente del Burundi appena eletto ed il presidente del Ruanda (paese “cugino”, abitato anch’esso da hutu e tutsi, ma a maggioranza invertita); nell’attentato morirono entrambi ed il conflitto etnico subì un escalation fino al nuovo colpo di stato (luglio 1996), a seguito del quale al Burundi fu imposto un embargo che durerà 3 anni con effetti devastanti.
Scenario della missione
Le missioni sono state svolte su richiesta dell’AS.CO.M (Associazione Cooperazione Missionaria) di Legnago (Verona) fondata da un gruppo di ingegneri ex-dipendenti della Riello guidati dal Sig. Enzo Ziviani e sono state sostenute economicamente da W.O.P.S.E.C. (World Organization Pediatric Surgery Emerging Countries) di Parma.
L’AS.CO.M era presente in Burundi dal 1982 con progetti nei settori: infrastrutturale (acquedotti, strade, linee elettriche, formazione di operatori locali), sociale (microcredito, cooperative femminili, istruzione) e sanitario (supporto all’ospedale di Kiremba).
Lo scenario in cui si svolge la 1° missione, 30 maggio-21 giugno 1999, è quello di un paese senza pace, in condizioni socio-sanitarie disastrose con la popolazione in povertà estrema, stremata dall’embargo e dalle violenze continue.
L’Ospedale è quello di Kiremba nel nord del paese, distretto di Ngozi, ai confini con il Ruanda in un’area di grande criticità; costruito dalla diocesi di Brescia negli anni ’60 con un centinaio di posti letto, si era ingrandito grazie al supporto di partner italiani tra cui l’AS.CO.M, con laboratorio analisi e servizi di radiologia e farmacia, ed era stato inserito nel sistema sanitario nazionale come Ospedale rurale di distretto. Le richieste di prestazioni sono aumentate gradualmente di anno in anno e soprattutto in concomitanza dei periodi di maggiori violenze contro i civili l’ospedale rappresentava l’unico punto di riferimento sanitario “affidabile” per la presenza costante di medici ed infermieri espatriati e di infermieri locali.
L’AS.CO.M contribuiva pagando gli stipendi del personale sanitario ed amministrativo e reclutando gli espatriati. Tra i volontari più attivi la dott.ssa Delfanti, anestesista dell’Ospedale di Legnago che si occupava dell’organizzazione dell’ospedale e della formazione dei tecnici di anestesia; avendo notato un sempre più elevato numero di pazienti pediatrici con patologie complesse disabilitanti (ferite di guerra e malformazioni congenite soprattutto del sistema nervoso: idrocefali e mielomeningoceli), la dott.ssa ritenne che il medico russo da 3 anni a Kiremba, per tutti Victor, dovesse essere supportato in ambito specialistico. Egli infatti, specialista in oculistica con una decennale esperienza in Africa, aveva sviluppato competenze in ostetricia, chirurgia generale ed ortopedia, ma non era in grado di offrire soluzioni a specifiche problematiche pediatriche.
Da qui la richiesta di un piccolo team chirurgico-pediatrico per una missione specialistica breve.
Nel giugno 1999 l’aeroporto di Bujumbura era chiuso per l’embargo ed assediato dai ribelli. Non c’erano voli diretti e l’unico accesso al paese era attraverso il Ruanda. Il viaggio che prevedeva la partenza da Venezia via Bruxelles per Kigali fu modificato all’ultimo minuto, e la improvvisa cancellazione del volo per Bruxelles portò il piccolo gruppo a Zurigo da dove poi in tarda serata, dopo uno stop di 10 ore, partì il volo per Kigali via Nairobi.
In aeroporto il mattino successivo c’era Victor il poliedrico medico russo, accompagnato da 2 suore italiane della congregazione “Ancelle della Carità” che avevano una sede operativa a Kiremba dove si occupavano dell’organizzazione dell’ospedale, della farmacia e dei dispensari.
Prima di partire ci fermammo per un breve ristoro presso la casa delle Suore a Kigali, e durante la sosta ci fu il tempo per ascoltare gli impressionanti racconti del genocidio del Ruanda avvenuto solo 4 anni prima, e di visitare la loro cappella dove erano stati trucidati e dati alle fiamme ben 1000 Tutsi che speravano di aver trovato rifugio…
Rimontiamo frastornati sulla Jeep.
La realtà che ci apprestavamo a vivere era ben più cruda di quella che avevamo immaginato tra letture e racconti, prima di partire. Oltre a noi ed alle valige piene di materiale sanitario ci sono le due suore. Alla guida Victor.
Sin dalla prima periferia di Kigali le strade di terra rossa sono piene di buche profonde, ma le 4 ore di viaggio trascorrono in un baleno. Dappertutto camion di militari, giovani, ben nutriti, quasi “eleganti” nelle loro tute mimetiche, sfacciati e prepotenti con i mitra imbracciati con pericolosa nonchalance. Il ridente paesaggio di colline verdeggianti delimitate dall’azzurro luminoso del cielo contrastava con la tristezza degli sguardi di chi camminava a piedi scalzi lungo i bordi delle strade; povertà, sofferenza e paura erano evidenti ovunque. Per noi la presenza di Victor alla guida e delle 2 suore sempre serene e sorridenti come compagni di viaggio erano rassicuranti.
Superati i 2 check point alla frontiera tra Ruanda e Burundi con apprensione, ma soprattutto con pazienza per i tempi “africani” dei controlli, eravamo già nel distretto di Ngozi.
L’area dell’ospedale era circondata da un muro di cinta che sembrava proteggere tutto ciò che era all’interno: padiglioni sanitari chiesa, casa delle suore, case dei volontari e foresteria. Gli orti ed i giardini fioriti e ben tenuti al fianco delle case davano una sensazione di tranquillità come se i pericoli fossero tutti al di fuori del cancello d’ingresso…
Ma in realtà non era così. Nel 2011 due malviventi faranno irruzione per una rapina nella casa delle suore all’interno dell’area protetta, ed uccideranno un volontario italiano ed una suora croata, e ne feriranno gravemente una seconda.
Ad accoglierci ci sono:
– Paolo ex-giornalista sportivo ora Economo responsabile dei progetti dell’AS.CO.M, che allenava la squadra di calcio e si occupava anche del giornale locale,
– Bernard, Amministratore dell’ospedale,
– Cyprien medico burundese responsabile dell’area medica,
– le suore “Ancella della Carità”,
– il sacerdote, Padre Battista, ed -alcuni volontari italiani che supportavano periodicamente Kiremba per problematiche tecniche: elettriche, idrauliche, etc…
In ospedale pazienti di ogni genere: complicazioni ostetriche in gravidanza e durante il parto, con conseguenze gravi spesso letali sia per la madre che per il bambino, malformazioni congenite, ferite d’arma da fuoco o da machete, il tutto affrontato senza risorse: né personale sanitario, né strumenti, né presidi, nè farmaci.
E da fuori ogni giorno arrivavano notizie di agguati mortali nei dintorni, ma noi, presi dal lavoro non avevamo neppure il tempo per preoccuparci.
Siamo ripartiti dopo tre settimane con un grande senso di frustrazione, ma anche con idee per provare ad offrire soluzioni.
La 2° missione si è svolta dal 29 maggio al 19 giugno 2000.
Nonostante non ci fosse più l’embargo, i voli erano solo diurni ed il clima socio-politico del paese non era affatto tranquillo. Le violenze contro i civili continuavano ed i pericoli erano ovunque.
Il viaggio non è stato meno faticoso del precedente. Si arriva a Bujumbura dopo un lungo stop ad Addis Abbaba; ad accoglierci sempre Victor. È tardi per mettersi in viaggio e pernottiamo dai Missionari Saveriani, punto di riferimento per tutti gli italiani in transito nella capitale.
Il giorno dopo si parte di buon’ora; c’è da attraversare tutto il paese e superare i check point delle diverse milizie che controllano il territorio: hutu, tutsi, e forze governative, il tutto prima del tramonto (c’è il coprifuoco). Le strade, non asfaltate, sono in pessime condizioni e le 2 jeep malandate e scomode, sono sovraccariche di materiale sanitario introvabile nel paese, come i costosi cateteri di derivazione ventricolo-peritoneale indispensabili per gli interventi di idrocefalo. La durata pertanto è imprevedibile.
A causa di un contrattempo meccanico (restiamo senza acqua nel radiatore…) e della lentezza dei controlli ai check point, il viaggio dura quasi 8 ore.
È un sollievo entrare nel recinto protettivo dell’ospedale. Siamo accolti dall’anestesista Delfanti che è lì da 4 mesi, e da Valeria specializzanda di neuropsichiatria di Verona che prepara la tesi e nel frattempo da una mano in pediatria.
L’ospedale è stato ingrandito con nuovi edifici, è più ordinato e pulito ma nei reparti i pazienti sono meno del solito, un po’ perché i ticket d’accesso, pur minimi, sono troppo alti per le tasche della popolazione, ed un po’ perché a causa della guerriglia non è prudente spostarsi dai villaggi.
I bambini con malformazioni comunque continuano a nascere, ma la mortalità è molto alta.
Le condizioni generali dell’ospedale sono peggiorate; mancano sempre infermieri, farmaci e presidi sanitari, e colpisce l’incapacità degli amministratori che avallano spese inutili e coprono le ruberie e l’inefficienza degli infermieri.
Il peggioramento della qualità dell’assistenza infermieristica è avvertito particolarmente da Victor ed Anna che proponevano l’attivazione di una scuola infermieri riconosciuta dal governo.
Le loro perplessità sono condivise anche da noi.
E così, considerate le carenze organizzative e la mancanza di personale locale su cui puntare per la formazione, l’ospedale non sembra adatto ad accogliere missioni specialistiche brevi.
Nonostante l’alta incidenza di problematiche chirurgiche pediatriche e la indiscutibile serietà dei progetti dell’AS.CO.M. si fa strada l’dea di non proseguire con le missioni in Burundi.
Oggi, a distanza di 20 anni, l’ospedale è molto cambiato; grazie al costante supporto di numerose Istituzioni italiane sembra avviato verso la completa autonomia sotto il profilo gestionale, economico ed amministrativo. Vi lavorano un buon numero di medici locali, riceve equipe specialistiche straniere e su richiesta del Governo si occupa della formazione di medici burundesi.
Dal 2009 è attivo il progetto Abana Bacu, (in kirundo “i nostri bambini”) sostenuto da Regione Lombardia e Poliambulanza Charitatis, per lo sviluppo di un programma nazionale di diagnosi e cura dei bambini con idrocefalo congenito, attraverso l’invio periodico di equipe neurochirurgiche per effettuare visite ed interventi di derivazione (cioè posizionamento di una speciale valvola munita di catetere nella testa dei piccoli pazienti), insieme ai medici locali.
Nel 2015 è stato avviato il progetto Terimbere Kiremba (finanziamento CEI), per la formazione medica ed infermieristica in maternità/ostetricia, neonatologia/pediatria, medicina interna e pronto soccorso.
Nel 2017, il consorzio ATS (Diocesi di Ngozi e di Brescia, Fondazione Poliambulanza, Suore Ancelle della Carità, Medicus Mundi Italia, As.Co.M.), ha realizzato il “Progetto Pollicino” ed inaugurato il reparto di neonatologia (10 posti letto di cui 7 incubatrici), collegato direttamente con la sala parto, ed attrezzato con concentratore di ossigeno.
Il progetto garantisce anche la formazione di 8 operatori sanitari.